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Recensione di “Ciò che è rimasto”

Cari lettori, buonasera.

L’altro giorno mi sono tuffata in uno degli ultimi libri che mi sono stati regalati.

L’amore, nell’opera di Marco Verrillo, è anch’esso testimonianza indelebile di verità. È un amore che non cede il passo a facili inganni, che non sceglie comode scorciatoie e che, nel bene o nel male, non concede sconti. È l’amore che scava, ferisce e salva. È l’amore che accoglie il dolore come un dono, l’amore che cattura occhi e pelle. Così, a colpi di fotogrammi spiazzanti, nudi di fronzoli e di sovrastrutture, l’autore ci inchioda al suo ritmo festoso e malinconico, lasciandoci lo spazio ideale per raccogliere i brandelli di ogni nostra identità taciuta, accarezzare tutti i sogni sopiti, svegliarli e finalmente rinascere avendo cura di amarci.

(dalla postfazione di Selene Pascasi)

Prima di scrivere queste righe mi sono soffermata molto su queste parole.

Ho davvero riflettuto molto su cosa avessi voluto scrivere.

Ho pensato all’amore che la Signora Pascasi descrive e con cui mi trovo perfettamente d’accordo.

Però, personalmente, credo che in questa raccolta ci sia molto più della tematica amorosa.

Alcuni testi, a mio parere, sono dei veri e propri racconti forti e, contemporaneamente, delicati.

Narrano con delicatezza ma graffiando il lettore con la veridicità e la realtà espressa nel testo.

Creano immagini che vanno oltre il sentimento, approdando nella società e nei vissuti che non sono distanti da molti di coloro che ci circondano e, anche, dai nostri personali.

In parallelo, la scioltezza della vita. La narrazione in poetica di estratti del vissuto, del concreto essere di un individuo che si mette a nudo ma con una sferzata di grinta e senza supponenza, bensì fondendo eleganza ed emotività attraverso i versi e riuscendo a portare il lettore nel vivo delle sue sensazioni.

Se ci rifletto, mi viene da scrivervi che “Ciò che è rimasto” è quasi un monologo di un uomo maturo che narra la sua vita come se avesse davanti un amico con cui finalmente abbattere muri e arrivare dritto al sodo, al succo di ciò che sente e che si porta nel suo personale zaino di vita.

Nei testi di Marco Verrillo c’è realtà, vita, fluidità e intimità.

Leggere le sue poesie significa scoprire l’autore e anche togliere alcuni fronzoli di perbenismo e silenzio.

Alla prossima recensione, la vostra Ele

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