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Recensione di “Uno”

Buonasera amici miei, la scorsa notte ho terminato “Uno”, un gentile regalo dell’autore.

Pietro nasce a cresce a Collodi in una famiglia di agricoltori dove lo studio e la letteratura vengono considerati inutili ma lui non demorde e, nel 1993 (dopo aver tentato l’università a Milano) si trasferisce a Parigi nell’appartamento prestatogli da Francois, un amico conosciuto nella capitale del nord. Sarà proprio a Parigi che Pietro cercherà la sua vena artistica, la possibilità di scrivere il suo primo libro e scoprire il mondo che di cui ha tanto letto nei libri ma forse non è tutto come lui immagina e spera.

Non sapevo cosa aspettarmi dal primo romanzo di questo autore che di carriera ne ha già fatta molta tra quotidiani come <<la Repubblica>> e il <<Corriere della Sera>> oltre che lavorare per la BBC londinese.

Mi sono addentrata in questa storia senza rendermi conto; la trama colpisce fin dalle prime pagine e ti catapulta nella vita del protagonista sentendoti affine a lui e percependo anche le sue emozioni che vengono lasciate in sospeso a discrezione del lettore.

L’autore narra la vita di Pietro denotando molti aspetti che, nonostante sia ambientato quasi trent’anni fa, non si discostano molto da alcuni avvenimenti, dolori e scelte di oggi.

In primis si parla di famiglia dove il figlio dovrebbe obbligatoriamente seguire le orme paterne e non coltivare le proprie passioni e l’indipendenza; scegliere di abbandonare la strada segnata per cercare sé stesso, porta Pietro a scontrarsi con ogni membro della famiglia arrivando praticamente ad esser ripudiato. Impossibile penserete ma basta addentrarci nella vita di molte persone dei giorni nostri per capire quanto sia ancora così e questo dovrebbe farci riflettere su quanto sia sbagliato ed egoistico considerare un figlio solo se ha seguito le nostre volontà sacrificando la sua personalità e passione.

Crescendo, il protagonista inizia a scontrarsi anche con il bullismo, le invidie, le gelosie e la solitudine.

Bullismo dai compagni di classe che poi degenera perché non si riesce ad accettare che una persona sia “diversa”, più colta, individuale, con un pensiero indipendente.

La diversità, l’essere migliore, genera paura e indivia che porta allo scherno, alla derisione per celare l’inferiorità.

Basta pensare a quanto ancora sia diffuso nei giovani, ma anche negli adulti, questo senso di persecuzione verbale verso chi è più “vero” e colto.

Da qui si genera la solitudine: la primaria necessità di isolarsi per pensare, per riflettere, per analizzare e coltivare le passioni ma anche perché è difficile trovare qualcuno con cui poter parlare di argomenti spigolosi, esistenziali, complicati, intimi e sinceri quindi si fatica a creare relazioni intime quanto d’amicizia.

E da qui ci si collega alla società e i media che propinano e cercano di diffondere la mediocrità generando persone sempre meno riflessive, profonde e rispettose.

L’autore continua evidenziando la differenza di classe sociale che permeava in quegli anni (ma che anche oggi non è molto differente) sottolineando gli aspetti legati alla cultura, all’apertura mentale e all’individualità.

In “Uno” si arriva anche a parlare di sessualità e sentimenti forti che si rispecchiano nell’accettare una persona per quella che è e nel differenziare il desiderio legato all’aspetto fisico rispetto al sentimento vero e proprio.

La finzione a cui poi accenna verso le fine del libro si lega benissimo ai giorni d’oggi dove, grazie ai social, persone diventano icone delle masse scegliendo poi di annullarsi, modificarsi, fingere per il “bene” del loro pubblico e questo si può benissimo associare anche alle finte amicizie perché, in fondo, possiamo dire veramente di conoscere qualcuno? Possiamo esser sicuri che quella persona sia sincera con noi e ci voglia davvero bene?

Alberto Cioni destabilizza perché narra un pezzo di vita di Pietro, estratto che si svolge nel 1993 e che, a specchio, ben si adatta ai giorni d’oggi (tranne per l’aspetto delle lettere e della cabina telefonica) rispecchiando quando il mondo si sia evoluto ma la società sia rimasta ferma, statica, asettica e indifferente e denotando quanto una mentalità profonda, riflessiva, sia sempre un outsider rispetto alla complessità del mondo.

Una scrittura sciolta, colta, meticolosa, intrigante e vitale.

Uno stile davvero coinvolgente e che non annoia nemmeno nei capitoli più copiosi.

Un libro da non farsi sfuggire.

Ci sono poche persone che si possono definire “Uno” ma magari sei proprio tu che leggi quel soggetto che si può ritrovare in queste pagine.

Alla prossima recensione, la vostra Ele